Gli ecosistemi costieri sono zone caratterizzate da una rilevante produttività biologica, e proprio per questo sono da lungo tempo sottoposti a forti pressioni antropiche (umane).
La conservazione e l'utilizzo sostenibile delle risorse costiere rappresentano una sfida fondamentale, e sempre meno prorogabile, per convertire attività ed interessi economici in un efficiente sistema di tutela.
A causa della poca attenzione che stiamo ponendo nella cura di questi ecosistemi, ci stiamo rendendo sempre di più conto dei problemi le specie che abitano le nostre coste debbano affrontare.
Immagino quanti di voi abbiamo letto, sentito notizie come: “I cambiamenti climatici minacciano la biodiversità, colpendo sia gli habitat che diverse specie animali”.
Ma che cosa sono questi “cambiamenti climatici”, e quali sono le cause tangibili?
Troppo spesso, forse per cercare di sottolineare l’importanza e l’urgenza di questo problema, forse per evitare di scatenare un’isteria di massa, si parla di “scioglimento di calotta polare, innalzamento del livello del mare”.
Effetti che ci sembrano lontani, invisibili, incalcolabili.
Ci sono però anche conseguenze che possiamo notare semplicemente infilandoci un paio di pinne ed una maschera.
Chi ha mai fatto in estate attività di snorkeling si sarà sicuramente accorto di quante diverse specie di organismi animali e vegetali abitano il fondale marino a pochissimi metri dalla spiaggia: pesci, alghe, fanerogame marine, crostacei, stelle e ricci di mare, conchiglie.
Diversi studi e progetti di Citizen Science hanno portato alla luce che, tra tutti questi organismi, echinoidi (i ricci di mare) e bivalvi sono i maggiormente colpiti da malattie infettive che possono essere ricondotte ad un cambiamento ambientale portato dal riscaldamento degli oceani, che ha reso più semplice il diffondersi delle infezioni.
Per questa volta, prenderemo ad esempio solamente due specie, il riccio di mare Paracentrotus lividus e il bivalve Pinna nobilis.
Il riccio di mare Paracentrotus lividus, specie indagata e monitorata già dalla scorsa estate, è stato colpito da un’infezione definita “calvizie del riccio”, che provoca la perdita degli aculei nell’animale, lasciandolo completamente inerme di fronte ai suoi predatori naturali.
La Pinna nobilis, il più grande mollusco bivalve endemico del Mediterraneo, è stata invece decimata da un parassita che, insinuandosi all’interno dell’apparato digerente, rende impossibile la chiusura delle valve e la espone costantemente all’ambiente. Già dal 2016 la Pinna nobilis era stata definita “specie a forte rischio di estinzione”, ed i vari progetti di monitoraggio sui litorali italiani non hanno fatto altro che confermare l’elevatissima moria di questo mollusco.
Come possiamo cercare quindi di contenere il danno, migliorare le condizioni dell’ambiente in cui viviamo per aiutare sia la biodiversità che noi stessi?
Ormai le prove scientifiche che sostengono come il cambiamento climatico sia causato dalle attività umane sono innumerevoli, e non vi sono dubbi al riguardo. Inoltre, il problema che cerchiamo di risolvere è altamente complesso e non ci sono soluzioni facili ad esso.
Molte scelte dovranno essere prese a piani molto più alti della nostra quotidianità: come ad esempio la riduzione delle emissioni di anidride carbonica e altri gas serra, principali responsabili del riscaldamento globale, la possibilità di recuperare l’energia che tutti utilizziamo da fonti rinnovabili e pulite.
C’è bisogno di aspettare che i governi trovino una soluzione?
Ognuno di noi può dare un contributo alla causa, adottando uno stile di vita più responsabile ed iniziando dalle piccole cose di ogni giorno: utilizzare lavatrice e lavastoviglie solamente quando sono a pieno carico, modificare le lampadine di casa e preferire quelle fluorescenti, riciclare i rifiuti organici, limitare l’utilizzo di borse ed utensili in plastica usa e getta, limitare il consumo di carne e prediligere prodotti locali.
E cosa più importante di tutte, condividere questa nuova consapevolezza!